martedì 22 gennaio 2013

Django Unchained, la recensione



L'odio senza desiderio di vendetta è un seme caduto sul granito (Honoré de Balzac)


Qualcuno ha detto che Django Unchained sarebbe il primo film western di Quentin Tarantino...sbagliato!
I due film di Kill Bill, Bastardi senza gloria, e (perchè no) Grindhouse - A prova di morte, sono tutti film "western"; posseggono le qualità e i canoni del genere, come, per esempio, una società basata su codici d'onore piuttosto che dalla Legge, vista sempre come qualcosa di negativo. Per non parlare dei richiami allo "spaghetti western" (genere prediletto da Tarantino), evidente sin dall'uso dei titoli dei film.

Come nel film precedente (Bastardi senza gloria), Tarantino non è interessato alla ricostruzione storica impeccabile, alle "cartoline storiche", ma punta a ricreare la Storia partendo dal proprio universo metacinematografico, giocando con il pubblico, strizzando l'occhio alla propria filmografia e collegandola al Mito, in un continuo gioco di specchi che potrebbe confondere chi non possiede quella cultura "nerd" oggi così popolare.

La storia dello schiavo Django, come solito nel regista/sceneggiatore, è divisa in capitoli, nello sforzo di creare un "romanzo cinematografico" di grande impatto spettacolare. Essendo la storia di uno schiavo e della sua vendetta, con annesso salvataggio amoroso, non ci si poteva aspettare un film "casto" e politically correct; quando poi è Tarantino a dirigerla, la violenza (fisica e dei sensi) la farà da padrone.
Ma la violenza per il regista non è rappresentazione di un disagio sociale, ma solo scoppio improvviso della natura umana (che è violenta).

Django Unchained (come tutti film di Tarantino) è un film d'exploitation d'autore e abbraccia con passione altri sottogeneri come il "blaxploitation", splatter e (come detto) lo spaghetti western.

Ottima la prova degli attori, su tutti Christoph Waltz, evidentemente a suo agio nel ruolo di un cacciatore di taglie tedesco (strizzatina d'occhio!); Di Caprio sfoggia tutta la sua tecnica recitativa in un ruolo non facile (il ricco latifondista e schiavista del Sud, Calvin Candie), in bilico sull'orlo della "macchietta", mentre Jamie Foxx incarna bene il "nigger" in cerca di vendetta/riscatto/dell'amore, un personaggio che non richiedeva grandi doti interpretative, ma un lavoro fisico notevole.

"Signori, avevate la mia curiosità, ma ora avete la mia attenzione"

Trailer del film




mercoledì 16 gennaio 2013

Vita di Pi (Life of Pi), la recensione


Credere o non credere? Spiritualità o razionalità? E quando ci ritroviamo in lotta per sopravvivere, la nostra anima rimane "pura" o rimane contaminata dalle nostre azioni?

Tre anni dopo la commedia Motel Woodstock, il regista taiwanese Ang Lee torna con una storia larger than life, tratta dall'omonimo romanzo del canadese Yann Martel.

Gran parte della storia si svolge in mare aperto, dove Pi si ritrova naufrago in compagnia di una tigre del Bengala di nome "Richard Parker", e punteggiata dal commento del "vecchio" Pi, il quale sta raccontando la sua incredibile storia ad un giovane scrittore in crisi. Una storia che definire inverosimile è poco; molto più corretto sarebbe definirla una favola (anche se alcuni elementi sono quasi fiabeschi più che favolistici).

A Lee non interessa convincerci che quello che stiamo guardando è verosimile (così come non interessa al Pi narratore), anzi, la volontà è quella di farci "entrare" (anche grazie al buon uso del 3D) in un universo altro, nel quale Pi gioca la sua battaglia per la sopravvivenza aiutato da una parte dal pensiero razionale frutto degli insegnamenti del padre, e dall'altra da una profonda spiritualità  e senso del magico derivanti dalla madre (Nuova India vs. Vecchia India).

Il vero punto di forza del film, comunque, sta nell'aspetto prettamente visivo: non a caso Vita di Pi è candidato come Miglior Fotografia (Claudio Miranda), Miglior Montaggio (Tim Squyres), Scenografie (David Gropman e Anna Pinnock) e Effetti Visivi. In particolare gli Effetti Visivi sono meravigliosi, in grado sia di terrorizzare (come nella scena del naufragio) sia di emozionare e commuovere; a differenza di altri film, Vita di Pi usa le più moderne tecnologie per donare ancore più sentimento e "cuore" alla storia, non ai fini di uno sterile intrattenimento puerile.

Un film da seguire, non solo da vedere.

"Allora, preferisce questa storia o la storia con la tigre?"