mercoledì 16 gennaio 2013

Vita di Pi (Life of Pi), la recensione


Credere o non credere? Spiritualità o razionalità? E quando ci ritroviamo in lotta per sopravvivere, la nostra anima rimane "pura" o rimane contaminata dalle nostre azioni?

Tre anni dopo la commedia Motel Woodstock, il regista taiwanese Ang Lee torna con una storia larger than life, tratta dall'omonimo romanzo del canadese Yann Martel.

Gran parte della storia si svolge in mare aperto, dove Pi si ritrova naufrago in compagnia di una tigre del Bengala di nome "Richard Parker", e punteggiata dal commento del "vecchio" Pi, il quale sta raccontando la sua incredibile storia ad un giovane scrittore in crisi. Una storia che definire inverosimile è poco; molto più corretto sarebbe definirla una favola (anche se alcuni elementi sono quasi fiabeschi più che favolistici).

A Lee non interessa convincerci che quello che stiamo guardando è verosimile (così come non interessa al Pi narratore), anzi, la volontà è quella di farci "entrare" (anche grazie al buon uso del 3D) in un universo altro, nel quale Pi gioca la sua battaglia per la sopravvivenza aiutato da una parte dal pensiero razionale frutto degli insegnamenti del padre, e dall'altra da una profonda spiritualità  e senso del magico derivanti dalla madre (Nuova India vs. Vecchia India).

Il vero punto di forza del film, comunque, sta nell'aspetto prettamente visivo: non a caso Vita di Pi è candidato come Miglior Fotografia (Claudio Miranda), Miglior Montaggio (Tim Squyres), Scenografie (David Gropman e Anna Pinnock) e Effetti Visivi. In particolare gli Effetti Visivi sono meravigliosi, in grado sia di terrorizzare (come nella scena del naufragio) sia di emozionare e commuovere; a differenza di altri film, Vita di Pi usa le più moderne tecnologie per donare ancore più sentimento e "cuore" alla storia, non ai fini di uno sterile intrattenimento puerile.

Un film da seguire, non solo da vedere.

"Allora, preferisce questa storia o la storia con la tigre?"






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