venerdì 13 dicembre 2013

KALT: Beetlejuice (1988)






Chi ha la mia età, ed ha amato le mattine e i pomeriggi passati a casa davanti alla tv, durante le vacanze natalizie, non potrà che provare un sussulto nel vedere questa foto.

Beetlejuice (i produttori italiani dell'epoca aggiunsero un, secondo loro, "divertentissimo" Spiritello Porcello al titolo originale!) è il primo vero film di Tim Burton alla regia, il primo nel quale il suo genio creativo e il suo universo iniziano a contaminare il Cinema.
La storia non è di per sè nulla di eccezionale: una coppietta, deceduti e diventati fantasmi, vogliono cacciare dalla loro casa una coppia di snob ed antipatici, con figlia "dark" al seguito; stipulano così un contratto con uno spiritello di nome Beetlejuice, che promette loro di spaventare a morte i nuovi inquilini e cacciarli via, ma tutto ha un prezzo...

Quello che fa di questo film di Burton un piccolo capolavoro sono il modo che oggi definiremmo "burtoniano" di raccontare la vicenda, e l'interpretazione sopra le righe e da vero mattatore di Michael Keaton, il primo "Johnny Depp" per il regista. Beetlejuice, infatti, è un figlio di buona donna, è cattivo e disgustoso, ma ci viene presentato come un divertente sbruffone, una faccia da schiaffi, con la quale è impossibile non divertirsi e provare anche della simpatia.
Burton inizia così il percorso cinematografico che lo porterà a quello che, insieme a Big Fish, è il suo miglior film.

Ciò che ho sempre trovato irresistibile in Beetlejuice è il suo non prendersi mai troppo sul serio, neanche quando si parla di temi come la morte, la depressione, l'aldilà. Tranne che in una scena topica, il tono è sempre di sberleffo e critica nei confronti dei nuovi valori borghesi di fine anni '80, che non sono poi molto diversi da quelli di oggi. Non a caso, la coppietta fantasma (Geena Davis e Alec Baldwin) raprresentano, per contrasto, valori diversi, meno materiali e convenzionali.
L'intento di Burton è divertire con materiali che, di solito, servono per far spavento: qui occhi che escono dalle orbite, facce deformate e deturpazioni non fanno paura, ma ridere.

"Problemi con i vivi? Stanchi di vedere la vostra casa invasa? Volete liberarvi di quelle odiose creature per sempre? Venita da me, gente morta! Sono il Bio-Esorcista più richiesto! Venite alla mia lapide, sono io quello che fa per voi! Terrorizzo a morte chiunque volete, invento le perfidie più perfide, roba da infarto secco! E se occorre, mi faccio possedere, ok? Wow! Sento i demoni scivolarmi dentro, divorarmi il cervello! Vi aspetto qui, al cimitero! Assumetemi, avrete una possezione demoniaca gratuita per ogni bio-esorcismo! Nessuno offre condizioni migliori! Portate i vostri bambini, giocheranno con serpenti e lucertoloni e senza pericolo: sono velenosi! Allora, dite il mio nome, ditelo due volte e alla terza io arriverò e ricordate che [Cantando] Io inghiotto, vomito | sputo e rutto | faccio porcate, chiedetemi tutto! Ma soprattutto ricordate che sono qui per voi! (Beetlejuice)


venerdì 13 settembre 2013

KALT: Moon (2009)


Inauguro oggi una nuova e, spero, interessante rubrica dedicata a tutti quei film che, pur non avendo avuto un successo di pubblico paragonabile ai grandi blockbuster, nel corso degli anni si sono ritagliati uno spazio nel cuore degli appassionati di Cinema, grazie alle loro qualità o al loro essere "diversi".
Con "Kalt" non intendo quei film considerati in modo unanime dei capolavori; l'idea che sta alla base di questo spazio è quella di (ri)scoprire opere che, per quanto mi riguarda, meritano di essere viste e amate.






Moon è un film curioso sotto molti punti di vista; andiamoli a vedere:

  • il regista è Duncan Jones; e chi è Duncan Jones? Beh, oltre ad essere l'autore di un altro interessante film a cavallo fra la fantascienza e il thriller, è conosciuto soprattutto per essere figlio di Ziggy Stardust.
  • si tratta di uno dei rari casi di film di fantascienza girato quasi interamente in interni e con un solo, vero protagonista (l'ottimo Sam Rockwell)
  • pur facendo parte di un genere di solito "spendaccione", per via in particolare degli effetti speciali, Moon è costato la "miseria" di 5 milioni di dollari e, cosa ancora più incredibile se si tiene conto del risultato finale, è stato girato in soli 33 giorni.  
Questo da solo, però, non basta per qualificarlo un piccolo gioiello; in realtà, ciò che più colpisce è la qualità assoluta di ogni elemento (scrittura, fotografia, effetti speciali, recitazione) e la bravura di Jones nel saperli dosare senza esagerare.
Io amo la fantascienza, sia nel Cinema che nella Letteratura, e amo soprattutto quella che viene definita "fantascienza classica", anche se far rientrare in questa categoria autori come Philip K.Dick e film come Alien è fuorviante e riduttivo.

La storia non è di per sè originale (un astronauta vive da anni solo in una stazione sulla Luna e, a causa di un incidente, scoprirà una inquietante verità); nè è originale il colpo di scena, che avviene prima della prima metà del film. A Jones non interessa scioccare o stupire il pubblico (come invece cerca di fare gran parte del cinema di fantascienza oggi), ma ricreare un ambiente ed una atmosfera che richiama un certo modo di fare genere.
I temi sono Dickiani e Kubrickiani, ma con un tocco personale: qui, ad esempio, l'intelligenza artificiale non è maligna o incontrollabile (tipo HAL 9000), ma si attiene alle Tre leggi della robotica di Asimov.

Moon possiede tutte le qualità che un amante della fantascienza vuole in un film, ma non stupisce che il grande pubblico non lo abbia premiato. In fondo si tratta di un genere declinato in modo minimale, senza quell'epica e quel catastrofismo/messianico-apocalittico tipico della Fantascienza del nuovo millennio.




mercoledì 4 settembre 2013

Elysium, la recensione









Quando è venuta fuori la notizia che il regista di District 9 avrebbe girato un film di fantascienza con protagonisti Matt Damon e Jodie Foster, ho pensato: "qui viene fuori un capolavoro o una schifezza".

Come (spesso) mi capita quando faccio previsioni, non ci ho preso: la verità è che Elysium è una sorta di versione aggiornata e hollywoodiana dei temi di District 9; e quindi non si tratta di un film epocale, ma di un lavoro onesto ed impeccabile, con una dose di politicamente scorretto che ci piace.

Blomkamp ama questo genere e ama gli effetti speciali (e si vede); soprattutto ci tiene a fondere nella maniera più verosimile possibile il futuro con il presente, pur raccontando storie per certi versi inverosimili, soprattutto nel loro sviluppo. La tecnologia avanzata che si vede in Elysium non è "pulita" e perfettina, ma puzza, si rompe, è imperfetta; la società qui rappresentata è transumanista, e il regista sudafricano ci tiene a farci sapere, e vedere, che una società del genere non può avere futuro se la componente umana, o per meglio dire "umanitaria", perde di valore.

Damon è credibile nel suo ruolo, anche se quella sua faccia da bravo ragazzo mal si concilia con il passato del protagonista; Jodie Foster, come al solito, impeccabile, in un ruolo antipatico e difficile. Ma la vera sopresa è l'attore feticcio di Blomkamp, Sharlto Copley, che qui interpreta un cattivo davvero molto cattivo e inquietante, la faccia oscura e nascosta del "nuovo Sistema".

Una pecca del film è l'eccessivo richiamo che si coglie nei temi, e addirittura in alcune scene ambientate sulla Terra, al precedente District 9; mi sarei aspettato, inoltre, maggior originalità nello sviluppo di alcune tematiche, ed invece Blomkamp sembra più interessato, a volte, a proporre un tipo di violenza estrema da videogame piuttosto che seguire strade diverse.

In ogni caso si tratta di un buon lavoro, soprattutto dal punto di vista tecnico e spettacolare; una fantascienza che certo più si avvicina a quella proposta dai film di Terminator, piuttosto che toccare temi filosofici in stile Solaris o 2001-Odissea nello spazio.

Trailer



giovedì 18 luglio 2013

Pacific Rim, la recensione







Nel decidere quale foto inserire all'inizio della recensione, mi è venuto un dubbio: umani, Jaeger o Kaiju ?

Potrebbe sembrare una domanda sciocca, ma in realtà mi chiedevo soprattutto chi fossero i veri protagonisti del film. Alla fine ho optato per gli umani "piloti" di Jaeger, perchè in fondo il film è la storia della lotta tra il bene e il male (rappresentato da mostri Lovecraftiani ) e di come l'umanità (collettivamente e singolarmente) affronti un tale, continuo orrore.
Del Toro ha una sua precisa poetica, una visione di come rappresentare l'orrore e il dolore che si avvicina molto agli Anime giapponesi; gli enormi robot sono antropomorfi, sono "uomini" di metallo alti come montagne che affrontano una lotta dura ( a colpi di wrestling e gadget tecnologici) contro un pericolo che non si arresterà mai. In questo il regista messicano è molto bravo nel far iniziare il film in medias res, con una breve serie di scene iniziali per spiegare quello che l'umanità aveva subito in passato. Guillermo Del Toro non è un regista d'azione, ma riesce a tenere alta la tensione per tutto il film (grazie ai terrificanti Kaiju) e a congegnare ottime battaglie tra Jaeger e mostri.

Ciò che forse manca è una più precisa e profonda caratterizzazione dei personaggi, la maggior parte dei quali sono solo controfigure nell'enormità dello scontro. L'unico personaggio che viene analizzato più degli altri è quello di Maiko Mori (Rinko Kikuchi) e per una precisa motivazione drammatica, che scatenerà conseguenze a catena fino all'epico finale. D'altronde per Del Toro l'importante è costruire uno spettacolo imponente, nel quale anche i più adulti possano tornare, per poco più di due ore, bambini e meravigliarsi nel vedere un robot umanoide gigantesco che le da di santa ragione ad una specie di dinosauro geneticamente modificato alto quanto e più di un grattacielo. E in questo ci riesce in pieno.

Ultima nota sul come vedere questo film: il mio consiglio è di guardarlo con tecnologia IMAX 3D; nel caso non fosse possibile, andate in una sala cinematografica dotata di un ottimo sistema di riproduzione video e audio, dato che parliamo di qualcosa che visto al cinema fa un effetto, e forse visto sullo schermo di un PC ne fa un altro.


"Oggi noi cancelleremo l'Apocalisse!"  Stacker Pentecost (Idris Elba)

Trailer

giovedì 20 giugno 2013

Star Trek - Into Darkness, la recensione









C'è chi ha definito J.J. Abrams come il "nuovo" Steven Spielberg, per l'attitudine che porta entrambi a creare un universo filmico capace di emozionare e, allo stesso tempo, intrattenere ai massimi livelli.
Questo parallelo Abrams/Spielberg viene pienamente confermato dalla scena di apertura di Star Trek: Into Darkness, nella quale il creatore di Lost cita l'intro de I Predatori dell'Arca Perduta, aggiungendoci però un "doppio binario" con protagonisti Kirk e Spock.
E alla fine tutto il film (ma si potrebbe tranquillamente aggiungere tutta la storia del primo Star Trek, e per estensione tutta la saga) si regge su questo rapporto bizzarro, tra un Vulcaniano/Umano e un Umano/Umano che non potrebbero essere più diversi, ma (forse) proprio per questo si stimano e si cercano in continuazione.

Il film prende una direzione diversa quando il rapporto diventa a tre, con l'ingresso del "cattivone" interpretato dal bravo Benedict Cumberbatch. Come capita anche nella realtà, il terzo incomodo pone le basi per una separazione della coppia; in questi casi si finisce con il divorzio, oppure la coppia si fortifica, si unisce ancora di più e scopre che il sentimento che li unisce è più forte di tutto.
Alla fine il tema principale del film è tutto in questo triangolo, al quale si accompagnano altri temi (il terrorismo "interno", la sottile linea che divide bene e male) che sembrano principali, ma in realtà servono ad Abrams per dare un contesto più "trekkiano" e avventuroso ad una storia di amicizia profonda tra due individui che, apparentemente, non hanno niente in comune, ma in realtà si assomigliano molto.

Dal punto di vista tecnico il film è impeccabile, con effetti speciali perfetti e utilizzati sempre nel modo giusto. Ottima anche la colonna sonora di Michael Giacchino e la fotografia di Daniel Mindel.
Capitolo 3D: Abrams ha girato in IMAX e poi il film è stato riconvertito in 3D in post-produzione; questo significa, banalmente, che il modo migliore per goderselo è vederselo in una sala cinema con tecnologia IMAX, e che il 3D non è fondamentale nella visione del film, poichè Abrams non lo ha concepito secondo questo fine, come invece è capitato per film come Avatar.

"Khaaaaaaan!"

Trailer 

lunedì 29 aprile 2013

Iron Man 3, la recensione






Iron Man (2008) è stato il "padre" del nuovo universo cinematografico Marvel, sfociato poi nel progetto The Avengers; ora con questo Iron Man 3 si apre la "fase 2" del progetto, all'insegna della de-costruzione del personaggio/mito.

La scelta del regista Shane Black non è casuale, ma il segno di una direzione "diversa" rispetto alla strada intrapresa da Nolan con la trilogia di Batman e l'imminente Uomo d'Acciaio (Superman).
I Marvel Studios hanno interesse a creare una sorta di fusione tra fumetto e cinema, non solo a livello visivo, ma soprattutto a livello di scrittura; puntano a recuperare quell'attitudine adolescenziale (oggi si direbbe "nerd") che i precedenti film sui supereroi avevano perso, per lasciare eccessivo spazio ad una epicità che non appartiene (se non in parte) a questo universo.
La forza dei fumetti Marvel è sempre stata quello di "sentire" vicini, quasi simili a noi, questi eroi con poteri straordinari, ma spesso con problemi assolutamente ordinari.

Iron Man è il perfetto simbolo di questo atteggiamento nei confronti del supereroe, di amore, ma anche quasi irrispettoso; tanto che sicuramente più di qualche purista si sarà "scandalizzato" per come Robert Downey Jr. sia riuscito a fare di Iron Man non solo un geniale scienziato capace di costruire una meravigliosa armatura, ma anche un magnifico showman, un istrione, un leader futurista e iconoclasta, che riesce a trovare la pace solo tra le braccia di quella Pepper che rappresenta esattamente il suo opposto.

In questo film, che cronologicamente si pone dopo i fatti raccontati in The Avengers, Tony Stark è il vero protagonista, più di Iron Man (l'armatura); Black sottolinea più volte come Iron Man sia un guscio vuoto senza Stark, ma anche come il genio non riesca più a fare a meno della sua lampada, divenendo per lui sia un rifugio sicuro dalla realtà, sia una trappola dalla quale liberarsi per vivere.
Mai come in questo film la macchina e l'uomo si confondono, si cercano e si odiano al tempo stesso...in fondo gli uomini Extremis non sono altro che "macchine umane", dei robot fatti di carne.

Iron Man 3 quindi. Una nuova era, segno dei tempi, nella quale non esistono certezze (chi è chi?) e anche i supereroi soffrono di attacchi di panico.


La differenza tra un genio e uno stupido è che il genio ha dei limiti (Albert Einstein)

Trailer del film

giovedì 21 marzo 2013

Il grande e potente Oz (Oz the Great and Powerful), la recensione







Chi, come il sottoscritto, ha amato e ama ancora la "trilogia" de La Casa, alla notizia che sarebbe stato Sam Raimi a dirigere il prequel de Il mago di Oz, avrà avuto una reazione del tipo: "Ma...perchè??"...

Premessa: il film del 1939, in USA, è considerato un film di culto, visto da generazioni, "creatore" di numerose leggende metropolitane e apparenti sincronie...

Raimi è nato come autore horror, ma un horror di stampo fumettistico, che ha poco a che spartire con altri autori del genere come Romero o Carpenter. Tanto è vero che fu lui il prescelto per il debutto cinematografico di Spider-man...

Pensavo a queste cose, con in testa i miei occhiali per la visione in 3D, ed inizia il film...in "stile" 1905. Mi spiego meglio: che effetto vi farebbe vedere The Great Train Robbery in 3D? (a me piacerebbe, specialmente l'ultima scena...)

James Franco interpreta un mago/illusionista che vaga di fiera in fiera e che si ritroverà, suo malgrado, "catturato" da un Mondo alternativo, fin dall'inizio in bilico tra l'essere vittima e carnefice.
Appare subito chiaro che il Mago è un impostore, un "venditore di fumo", ma proprio questo suo essere lo rende simpatico e positivo, umano in contrapposizione ad un universo realmente magico e diverso.

Raimi parteggia senza remore per il protagonista; certo, lo caccia nei guai e ne sottolinea continuamente i difetti, ma davvero lo "ama" e lo segue.
Il gioco è "specchiare" la realtà con l'immaginazione, la verità con la finzione, un po' Alice nel Paese delle Meraviglie e un po' Cinema...eh sì, perchè con la scusa di narrare la storia di come nacque il "favoloso mago di Oz", Raimi omaggia il cinema delle origini, il cinema delle attrazioni, nato non a caso nelle fiere paesane con il kinetoscopio di Edison, ovvero l'uomo che più di tutti il Mago ammira e a cui vorrebbe assomigliare.

Oltre ad essere un omaggio alla preistoria del Cinema e un gioioso film d'intrattenimento, Il grande e potente Oz affronta anche un tema attualissimo e modernissimo come quello del potere dell'illusione e della "disinformazione" (o sarebbe meglio definire Propaganda) in un'epoca piena di dubbi e incertezze, dominata dalla paura.

Gli abitanti del mondo di Oz, in fondo, siamo noi.


Trailer del film